Roma, 21 settembre 2011 – Il Fondo per i contributi all’editoria prevede per questo anno, se non verrà ulteriormente decurtato dai tagli previsti dalla “Manovra” appena approvata, risorse pari solo al 50% del fabbisogno. Per questo parlamentari, associazioni, sindacato hanno cercato di provvedere già all’interno della stessa Manovra, convinti della estrema urgenza dell’intervento di salvaguardia e integrazione del Fondo.
Gli emendamenti presentati a sostegno dell’editoria cooperativa critica e non profit nella “Manovra” in discussione al Parlamento, sono stati respinti in Commissione: il primo, finalizzato a preservare il fondo dai tagli come era stato previsto per altri fondi tra i quali il Fus non è passato per un voto.
L’appostazione della “questione di fiducia” non ha consentito all’Aula del Senato di esprimersi in merito.
I senatori sottoscrittori, nel presentarli, erano ben consci della difficoltà del loro accoglimento e della difficoltà perfino ad essere ammessi alla votazione. Ma si era deciso di presentarli comunque per porre riparo al fatto che (sempre che non si pratichino i tagli previsti dall’art. 1 della manovra) attualmente per i contributi 2011 c’è uno stanziamento di soli 80 milioni a fronte dei 180 necessari.
Resta ora come ultima possibilità per ottenere le risorse mancanti la Legge di stabilità.
Per questo l’Assemblea, da tempo programmata, del 28 settembre a Roma nella sala del Mappamondo a Montecitorio, diventa cruciale. L’orientamento che sta maturando è quello di arrivare a questo evento attraverso un’accurata sensibilizzazione dei propri lettori e dell’opinione pubblica della fondatezza della nostra richiesta di adeguamento del Fondo editoria.
La ragione dell’esistenza del Fondo per l’editoria cooperativa e non profit è nel profilo legislativo che ha dato origine a questo attore dell’informazione, voluto dal legislatore con le caratteristiche dell’”editore puro”.
La legge presuppone, infatti, che l’informazione libera e critica sia possibile solo se gestita, autonomamente e senza condizionamenti, da parte degli stessi professionisti dell’informazione. Per questo ha prefigurato una forma come quella cooperativa che si basa sull’autogestione e sull’autorganizzazione della produzione dell’informazione. Per garantire l’autonomia ha previsto, in più, l’impossibilità di finanziatori esterni alla cooperativa e perfino un tetto massimo della pubblicità ammissibile.
Ma aver scelto la cooperativa vuole dire anche la regolarità dei contratti di lavoro, la trasparenza dei processi gestionali, l’apertura dell’impresa a terzi professionisti che volessero sperimentare e sperimentarsi nella professione giornalistica. Tutto questo in un mercato editoriale condizionato da concentrazioni di potere e da squilibri gravi nel mercato pubblicitario.
Il finanziamento previsto dalla Legge non serve, dunque, a coprire inefficienze o sprechi gestionali, ma a garantire la sopravvivenza di un modo di fare informazione trasparente, autonomo, autogestito.
Proprio questa finalità è all’origine della ripetuta richiesta di Mediacoop di fare “pulizia” nell’impiego delle risorse in modo che vadano a cooperative vere (autonome), che facciano informazione (strutturate professionalmente), che abbiano una diffusione reale e pubblici significativi e interpretino in modo trasparente la ratio della legge 416. Risultato che in parte si è ottenuto con il Regolamento che entrerà in vigore il prossimo anno, ma che rischia di non svolgere il suo compito se, a quella data, non sopravvivranno proprio le imprese che più correttamente ne hanno diritto.
In assenza dell’adeguamento del Fondo dell’Editoria, una larga parte dell’editoria cooperativa, infatti, non sopravvivrà al 2011 con danni gravi economici, sociali e nella salvaguardia della libertà e del pluralismo dell’informazione. Se, come i dati di bilancio delle imprese testimoniano, una novantina di testate dovessero chiudere si avrà un danno attorno al mezzo miliardo di euro (considerando che i contributi concorrono per un 30-40% del giro di affari). Che ricadrà in larga parte anche sull’indotto che è già in difficoltà come è dimostrato dai continui processi di concentrazione nei settori tipografico e della distribuzione. Gravi saranno i problemi per l’occupazione diretta e indiretta che riguarderà circa 4000 lavoratori. L’onere per lo Stato in termini di ammortizzatori sociali è valutabile in 50 milioni il primo anno, altrettanti almeno nel secondo pareggiando, se non superando, l’ammontare delle risorse necessarie per la sopravvivenza. Questo senza considerare i mancati versamenti alle casse previdenziali e gli oneri che, invece, alle stesse deriveranno dallo stato di crisi.
Se queste testate chiudessero, anche solo limitandosi ai quotidiani, l’offerta informativa, che già è modesta e calante in questo paese, perderebbe più di 400.000 copie diffuse giornalmente. Non sarebbe un bene per il paese, per la
sua cultura, perché si cancellerebbero punti di vista diversi, rappresentazione di bisogni quanto meno sottovalutati o omessi, contributi critici; senza contare, soprattutto per l’editoria locale, il venir meno del loro ruolo di coinvolgimento e di partecipazione civile e, quindi, di costruzione e conservazione dell’identità delle comunità di appartenenza.
Ma non sarebbe un bene anche per il “mercato” dell’informazione perché si tratta di target di lettori scarsamente “mobilitabili” e quindi non facilmente intercettabili dalle altre testate.
È per questo che occorrerà che l’iniziativa del 28 riesca e abbia la capacità non solo di denunciare ma anche di costruire consenso. Per questo si propone a tutte le testate di sollecitare interventi a sostegno (articoli, interviste) da parte di personalità della cultura che mettano in luce il ruolo dell’informazione autonoma critica e locale. Si suggerisce che il coinvolgimento sia al possibile non solo sulla propria testata ma, che si provi anche il loro coinvolgimento delle altre testate sulle quali queste personalità sono solite intervenire.
E perché sia chiaro anche “fisicamente” che quasi il 10% del mercato informativo corre il rischio di scomparire sarà bene che il 28 tutte le testate quotidiane e in contemporanea quelle periodiche che condivideranno questi convincimenti escano con un “segno” manifesto ed eclatante del pericolo che si sta correndo.
Il Comitato Promotore
fonte: Legacoop