Intervista tratta dal blog www.carlozucchetti.it
A vederla adesso è davvero difficile immaginare che questa fosse una zona sommersa dal mare. Eppure i Monti Lepini, oggi così massicci e imponenti, si sono formati in ambienti sottomarini, per accumulo di rocce carbonatiche, strati calcarei melmosi alternati ad argilla e fango che lentamente, durante il corso di milioni di anni, si sono consolidati. Sui loro bordi, l’uomo si è insediato fin dall’antichità rivestendo le zone pedemontane con costruzioni arroccate che scalano le alture e si avvinghiano in un abbraccio millenario. Profili brulli, granitici e possenti stringono la visuale, la chiudono in una claustrofobica protezione. Cori si adagia più in basso, là dove si innesta l’agropontino, su un territorio di cerniera tra i Monti Lepini e il complesso vulcanico dei Colli Albani. In questa zona oggi, come al tempo di Ovidio e Marziale, continua il racconto corale di un’epopea viticola, fatta di vitigni antichi, piccoli appezzamenti e duro lavoro. Una narrazione collettiva ripresa nel 1947 dalla Cooperativa Cincinnato, realtà nata dalla necessità di riavviare le attività agricole stagnanti o rallentante dalla Seconda Guerra Mondiale cercando di facilitare la trasformazione e commercializzazione delle produzioni dei soci. Nel 1979 Cincinnato restringe i suoi interessi alla viticoltura e diventa una cantina cooperativa di cui fanno parte circa 500 soci, oggi ridotti a 160 per 350 ettari vitati. Cresciuta nel tempo, a metà degli anni ‘90 la cooperativa si apre a un progetto di qualità riuscendo in un breve giro di anni a diventare una realtà da prendere come esempio, sia per la piacevolezza dei vini che per la gestione. Alle spalle di questo successo c’è un cambiamento radicale che ha richiesto investimenti e una riorganizzazione dei metodi di produzione, ma soprattutto la volontà e la totale adesione da parte dei soci.
“Quando proposi questa nuova strada sottolineai che era senza ritorno, che avremmo dovuto rinnovare gli impianti, modificare sistemi e modi di lavorare” ci dice Nazzareno Milita, agronomo, presidente della Cantina. È stato lui a proporre e condurre questa fase di passaggio che, come ribadisce, è ancora in corso. “Il processo è graduale, va per obiettivi che siamo certi di poter raggiungere”. Intelligenza, solidità e capacità di guardare lontano si trasformano in lui in modi naturalmente autorevoli che hanno contribuito alla realizzazione di quello che per altre cooperative rimane un’aspirazione. “Abbiamo iniziato con le innovazioni tecnologiche e con le consulenze di esperti che potessero portare un miglioramento prima di tutto in cantina, affiancando il nostro enologo Carlo Morettini che ci segue da sempre e supportandolo in questa fase di cambiamento. Abbiamo investito sulla linea del freddo e abbiamo creato dei protocolli per agevolare il lavoro e dotarci di regole che potessero rendere più semplice e omogeneo il percorso. È nato il calendario vendemmiale e inizialmente anche molte polemiche. Non è stato semplice, erano novità che investivano il lavoro individuale degli agricoltori. Ma la nostra arma è stata il rispetto rigoroso delle regole.” La luce entra dalle vetrate della nuova sede, un centro polifunzionale ottenuto ristrutturando l’ottocentesca villa Stoza. Un progetto importante che ha come obiettivo la valorizzazione del territorio a partire dal vino, ma non solo. Accoglienza, ristorazione, degustazione, comunicazione e conservazione sono infatti le parole chiave di questo progetto che vede accanto ai pieni ottocenteschi della struttura preesistente la leggerezza del vetro del blocco recente. Linee pulite, severe, ortogonali nel progetto dell’architetto Stelvio Caratelli, caratterizzano l’esterno in un efficace contrasto tra il disegno antico del casale e quello moderno della nuova costruzione.
All’interno l’ambiente è caratterizzato e riscaldato dagli arredi, pensati e disegnati da Piero Manciocchi e realizzati da artigiani locali con il legno delle barriques in rovere dismesse da Cincinnato. Le doghe diventano elemento ricorrente che si plasma sulle necessità dell’arredo esplicitando la sua funzione originaria o presentandosi come materia, non neutra perché il vino vi ha lasciato la sua traccia.
Carlo: “E per realizzare questa nuova sede come avete lavorato?”
Nazzareno: “In questo processo di ristrutturazione aziendale, non potevamo tralasciare la comunicazione della cantina e del territorio. Avevamo bisogno di una nuova sede che ci rappresentasse al meglio e che potesse diventare un luogo deputato per la valorizzazione enogastronomica e culturale della zona. Abbiamo vinto un bando di gestione della Villa di proprietà comunale che versava in uno stato di semiabbandono, e ci abbiamo lavorato per 5 anni con un investimento di oltre 1.500.000 di euro. L’agriturismo, il ristorante, la sala degustazione che può essere utilizzata anche per presentazioni di libri, corsi o convegni e poi la bottaia fanno parte del progetto e degli obiettivi originari della Cooperativa in cui il vino rimane centrale, ma deve fare anche da traino per il territorio. In cucina si utilizzano prodotti dei soci o comunque locali, organizziamo laboratori del gusto e corsi per valorizzare i prodotti e proponiamo gli abbinamenti con i nostri vini.”
Carlo: “Tornando ai vini, la vostra scelta è stata sempre orientata verso i vitigni autoctoni, Nero Buono e Bellone in particolare, anche quando era una scelta controcorrente”
Nazzareno: “È vero, quando sono arrivato era proprio il periodo di massima diffusione dei vitigni internazionali, ma non ci siamo lasciati affascinare dalle mode. Nel 2000 lavoravamo già solo autoctoni, con tutte le difficoltà del caso, perché dovevamo costruire un’esperienza, avevamo bisogno di sperimentare e facevamo prove su prove in vinificazione per ottenere i risultati cercati. È stato molto importante in questo senso anche il confronto con gli altri grandi produttori locali come Carpineti e Pietrapinta”.
Carlo: “E quando avete iniziato a lavorare sui singoli vigneti? Soprattutto come? Perché non è facile riuscire a modificare abitudini e pratiche agronomiche spesso tramandate di generazione in generazione”.
Nazzareno: “Dal 2005 abbiamo cominciato a operare sulle singole aziende, su base volontaria. Avevamo bisogno prima di consolidare la nostra posizione, poi ritenendo che il mercato fosse pronto, abbiamo cercato di dare più impulso al progetto di qualità. Così abbiamo fatto un protocollo e adottato la raccolta a chiamata. Abbiamo studiato un metodo di pagamento che compensi chi aderisce al sistema. Mi spiego meglio. Se l’obiettivo viticolo sono 80 qli per ettaro, dovrò attenermi a quel quantitativo intervenendo con il diradamento se necessario. Ma considerato che per rientrare nei parametri della DOC posso arrivare a 160 qli per ha, aderendo al progetto qualità Cincinnato che dimezza i quantitativi devo avere un vantaggio in termini economici. Ovviamente i prezzi di base sono quelli dettati dal mercato generale. Quando un’azienda richiede di entrare nel progetto qualità, c’è una verifica dei requisiti tra cui la buona conduzione del vigneto che deve essere sano e in equilibrio. Vengono poi fatte due o tre verifiche durante l’anno per controllare la sanità delle viti e l’influenza dell’andamento climatico. Per i nuovi impianti invece suggeriamo il guyot e 4000 piante per ettaro. Ora con il professor Mencarelli dell’Università della Tuscia di Viterbo, inizieremo un progetto sulla zonazione.”
Carlo: “Il lavoro che state facendo è veramente notevole, soprattutto parlando di cooperative. Ma è la dimostrazione che anche con i grandi volumi si può e si deve lavorare bene. I vostri vini sia quelli che vanno nella GDO che la linea dedicata alla ristorazione mostrano attenzione e pulizia. Quante bottiglie fate ?”
Nazzareno: ”Produciamo 800mila bottiglie. Lavoriamo circa 50mila quintali di uva provenienti da appezzamenti perlopiù molto piccoli”.
Due turiste scendono dalle stanze con le loro valigie, poco più in là il personale della sala ristorante si muove silenzioso e veloce tra i tavoli, e intanto ci raggiunge Giovanna Trisorio, responsabile marketing/commerciale con un gruppo di ristoratori in visita alla cantina. La vista della vetrata è invasa dai vigneti, indifferenti alle operose attività circostanti, che tendono i tralci al cielo e sembrano stirarsi pigramente mentre godono della placida tranquillità della giornata sotto lo sguardo benevolo di Cori.
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