Carne sintetica, hamburger vegetali, nuovi alimenti fino ad ora estranei alla cultura autoctona: all’orizzonte per l’agroalimentare si prospettano grandi e discusse rivoluzioni. Contro scenari di crisi climatica e alimentare non troppo remoti, in laboratorio si sperimentano risposte alternative, mentre l’Italia si pone tanti interrogativi e predispone un ddl per bloccare la produzione di alimenti a partire da colture cellulari o tessuti di animali vertebrati.
Presto ancora per pronunciarsi: anche il movimento cooperativo laziale si confronta per la prima volta con un dibattito che introduce riflessioni tutte da costruire.
Resta, però, un dato di fatto: l’opinione pubblica e l’attenzione mediatica si concentrano puntualmente sui sensazionalismi. Peccato non siano mai entrati prepotentemente nei trend di mercato e non abbiano mai sollecitato così tanta curiosità e attenzione i prodotti biologici. E non per assenza di realtà imprenditoriali, di cui molte cooperative, che vi investano in Italia e nel Lazio.
Raffaele Marchese è un agronomo che presiede il Consorzio Bio Roma. Rappresenta 52 imprese, la metà delle quali cooperative, che producono biologico nel Lazio e che hanno bisogno di aggregarsi per promuovere e commercializzare i prodotti e resistere sul mercato. Impresa non semplice per realtà che investono su una difficoltà sconosciuta a tutti gli altri produttori: quella di fare agricoltura senza inquinare né alterare l’equilibrio della natura.
“Avevamo un punto vendita alla Città dell’Altra Economia a Roma, nell’ex mattatoio, ma il Comune ha revocato l’autorizzazione perché non poteva concedere una licenza per la commercializzazione di prodotti alimentari in edifici tutelati dall’Unesco– spiega Marchese-. La notizia è arrivata nel periodo più difficile, durante la pandemia, quando abbiamo provato a portare i prodotti a domicilio attraverso uno shop online ma abbiamo resistito per un solo anno: per fare e-commerce in modo efficiente servono investimenti in logistica”.
Bio Roma, ora, ha individuato la risposta in un capannone di 1500 mq nel Comune di Pomezia all’interno del quale poter consentire agli associati di trasformare e confezionare i prodotti alimentari per poi venderli ad una rete di negozi specializzati e interessati ad avere prodotti biologici a km0. “I prodotti biologici nella nostra regione sono davvero tanti. Li abbiamo raccolti tutti in un catalogo tecnico, censendo tutte le aziende produttrici nel Lazio, facendo assaggiare i prodotti a delle commissioni esaminatrici e coinvolgendo realtà come l’Unione Mediterranea Assaggiatori di Oli, l’Organizzazione nazionale di assaggiatori di formaggi, e altri enti di assaggiatori per i prodotti” continua Marchese.
Il catalogo è stato distribuito alla grande distribuzione ma, spiega il presidente del Consorzio, “se consideriamo solo le nostre 52 associate, purtroppo solo una riesce a commercializzare i suoi prodotti nella gdo”. Un problema di strutturazione e di dimensione. Eppure, “il sistema di produzione del biologico andrebbe favorito perché non fa uso di prodotti di sintesi chimica come gli anticrittogamici che normalmente vengono usati per infestazioni o malattie né di prodotti chimici che vengono usati per la concimazione – commenta il presidente -. E’ un sistema di produzione sottoposto a controllo da soggetti terzi riconosciuti a livello nazionale e europeo e ogni produttore di biologico sottopone tutte le sue procedure al controllo di ispettori – dice-. Il produttore di biologico è uno che ha fatto una scelta importante perché comporta un aggravio di lavoro e di attenzione nella gestione di tutte le procedure che gli altri imprenditori agricoli non hanno. È una produzione che costa di più e che comporta dei rischi perché il produttore bio rischia di perdere tutta la sua produzione se compare un agente esterno che determina l’insorgere di una malattia”. “Nel dopoguerra, con la nascita della Politica Agricola Comune in Europa, si è avuta la necessità di garantire il sostentamento delle popolazioni europee e perciò di incentivare la produzione agricola- spiega Marchese-. Ma ciò ha causato l’intensificazione delle produzioni a scapito della qualità, portando all’uso dei concimi anche chimici, fin quando la produzione non è cresciuta al di sopra di una determinata soglia – continua-. Noi culturalmente siamo cresciuti con questa PAC che ha determinato dei problemi di inquinamento delle falde e di impoverimento dei terreni, mentre il sistema biologico riporta l’imprenditore agricolo a fare attenzione agli equilibri naturali con il rispetto delle produzioni e l’abbandono delle monoculture”. E in merito al cambiamento climatico dice: “questi sbalzi climatici, tra siccità, grandinate e eventi alluvionali, devono richiamare l’attenzione da parte di tutti nell’adeguare i sistemi produttivi ai cambiamenti in atto, privilegiando le aridocolture, diminuendo la quantità di acqua usata, pulendo gli invasi e creandone di nuovi, gestendo meglio l’acqua”. Attenzione, però per Bio Roma è importante che non siano interventi di cui si debbano o possano fare carico solo i singoli.
“La dimensione piccola e media delle imprese che si dedicano al biologico non consente loro di stare su un mercato che purtroppo è tarato su altri numeri e non ne facilita l’affermazione – commenta il presidente di Legacoop Lazio, Mauro Iengo -. Per questo è importante il ruolo dei consorzi. Inoltre, Legacoop invita le imprese anche a riflettere su tutte le altre forme di aggregazione societaria, favorendo le fusioni e le acquisizioni non solo tra cooperative, per rendere le imprese che condividono stessi valori e principi più capaci di incidere sulle dinamiche della filiera agroalimentare”. “Mentre il dibattito nell’opinione pubblica si concentra sui sensazionalismi, è importante ricordare che alcune soluzioni per rendere il sistema della produzione agroalimentare più sostenibile esistono già da diverso tempo. Importante quindi lavorare per creare uno sbocco commerciale per queste aziende virtuose che si occupano di biologico, spesso cooperative e non di rado sociali di tipo B che fanno un prezioso lavoro anche di inclusione lavorativa dei soggetti svantaggiati, nonché far crescere e diffondere la cultura del biologico. Ma per questo serve anche un tipo di informazione diversa e più seria su temi importanti per il futuro della nostra regione” conclude Daniele Del Monaco, responsabile di Legacoop Lazio Agroalimentare.
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