La Confederazione italiana archeologi (Cia) rappresenta diverse categorie di archeologi operanti non solo nel Lazio ma in tutta Italia: da quelli ministeriali ai liberi professionisti, dagli studenti ai docenti o ricercatori universitari, dai titolari ai dipendenti delle imprese archeologiche. Oggi, dopo aver coinvolto tutte le imprese aderenti a Legacoop Lazio in un approfondimento sullo stato dell’arte del lavoro nell’Archeologia e nei Beni Culturali che ha coinvolto CBC, Coop. Archeologia, Arx, Parsifal, Matrix), inauguriamo la rubrica Stakeholder, intervistando la presidente Angela Abbadessa.
Quella dell’archeologo è una professione che ha avuto un riconoscimento tardivo. Mi spiega perché?
Ritengo che sia perché noi archeologi siamo una categoria quantitativamente non significativa e pertanto non rappresentiamo un soggetto interessante dal punto di vista politico. Stiamo parlando infatti di circa quattromila professionisti in tutta Italia. Inoltre, ritengo che sia anche perché c’è un immaginario collettivo che è difficile da scardinare. Per la maggior parte delle persone l’archeologo è il cercatore di fortuna, un Indiana Jones, non uno studioso, un tecnico, un ricercatore. Come professionisti, gli archeologi sono stati riconosciuti soltanto nel 2014 con la Legge 110.
Qual è la situazione in cui versa la categoria oggi?
La situazione, in realtà, è quella di un mercato del lavoro molto vivace perché da un po’ di anni a questa parte c’è una forte richiesta di archeologi, a fronte di un numero esiguo di professionisti ancora sul mercato. La pecca, purtroppo, è che ancora troppo spesso la libera professione non è una vera libera professione ma i prezzi sono legati dalle committenze e le politiche in fatto di retribuzioni e inquadramento di queste ultime sono legate al fatto che ci sono ancora bandi che seguono l’offerta economicamente più vantaggiosa ma che di fatto spingono sul massimo ribasso. Ed è così che nella filiera degli appalti l’ultimo tassello, il professionista archeologo, soffre. Ciò che accade a causa di gare che partono già da una offerta troppo bassa e che non prendono minimamente in considerazione quali siano i prezzi di mercato.
Eppure si tratta di una professione che richiede una alta specializzazione. Da dove nasce la falla?
Buona parte dei problemi derivano a monte dalla differenza presente nel Codice degli Appalti tra lavori e servizi: quasi sempre la prestazione dell’archeologo è considerata un servizio e l’opera intellettuale può essere soggetta a ribasso. Eppure, in generale questo è un momento ottimo per la professione e sul mercato si avverte il bisogno di figure altamente specializzate.
Il massimo ribasso ha colpito duro per diversi decenni il settore. Ritiene che con il nuovo Codice degli Appalti la situazione possa migliorare? Perché?
Vedremo cosa succederà: io in questo momento non vorrei che si cadesse nel solito cliché del “bisogna che tutto cambi perché tutto resti così com’è”. Nel bailamme del nuovo Codice, che presenta aspetti fortemente critici, l’archeologo è forse una di quelle figure che ne escono meno peggio ma sicuramente una difficoltà è rappresentata dalle tempistiche in quanto c’è un accorciamento dei margini all’interno dei quali si può operare. Inoltre, sicuramente non è positivo il fatto che si sia voluta escludere da molte azioni l’archeologia preventiva: ciò porterà infatti ad un aumento di assistenze in corso di opera perché è lapalissiano che ciò che non si potrà fare attraverso l’archeologia preventiva si dovrà fare attraverso quella di emergenza.
Gli archeologi non hanno un prezzario riconosciuto a livello nazionale: come questo problema incide e inciderà sulla categoria?
E’ vero, noi non abbiamo un prezzario perché nemmeno le categorie che hanno un Ordine possono averlo. Ci sono criteri di riferimento come il CCNL edilizia all’interno del quale gli archeologi sono inseriti in IV, V e VI livello. Si tratta solo di punti di riferimento ma è ovvio che un libero professionista non dovrebbe mai costare meno del suo pari fascia tutelato da un contratto da dipendente.
Come questo nuovo Codice risolve o complica, a seconda del Suo punto di vista, i problemi relativi alla categoria?
Avranno più problemi i colleghi che fanno tutela più che quelli che lavorano in cantiere perché dovranno scontrarsi con realtà politicamente influenti. Certo, una categoria così piccola non si può compartimentare: si lavora bene solo quando si lavora insieme e tutti i pezzi del puzzle si incastrano bene. Non sarà facile nemmeno affrontare le nuove norme del PNRR perché la richiesta di semplificazione spesso si riduce non a un vero snellimento delle procedure ma semplicemente a una complicazione.
Quali prospettive per liberi professionisti e studenti?
Siamo una categoria giovane. Io mi sono iscritta all’Università 22 anni fa e tutti mi dicevano che con questa laurea non avrei trovato mai lavoro. E’ il peccato originale di chi fa studi umanistici che nell’immaginario di tanti non sono formanti e qualificanti come quelli delle Scienze pure ma non è così. Inoltre, di archeologia si vive anche discretamente ma bisogna saper fare il professionista. Non siamo abituati a considerarci una impresa. Si sconta la difficoltà di non essere a conoscenza di quali siano i nostri diritti e doveri o come si debba contrattare un lavoro.
Come si spiega l’aumento della domanda?
Il nostro mondo è legato a doppio filo all’edilizia: se il mercato dell’edilizia è in crisi, noi ne subiamo le conseguenze. E’ perciò vero che adesso è aumentata la richiesta ma il numero degli archeologi è diminuito perché dopo la crisi edile durata fino al 2016 molti colleghi hanno abbandonato la professione in cerca di stabilità. Non è diminuito solo il numero dei professionisti, lo è anche il numero di studenti che si iscrivono alle lauree in archeologia ma la richiesta aumenta perché grazie ai fondi del PNRR e ai bonus il mercato dell’edilizia è in ripresa.
Diverse cooperative fondate da archeologi compiono 30 o 40 anni e sono imprese solide. Perché si preferisce oggi restare liberi professionisti anziché creare cooperative o diventarne soci?
Fatico a rispondere. Immagino che sia perché è una forma che non prevede grossi guadagni e ha nello statuto uno scopo sociale che non è quello dell’arricchimento. Per questo ipotizzo che non sia attrattiva in un periodo storico in cui si pensa piu all’individualismo che a forme di solidarietà collettiva.
In questo momento, quanto costa il lavoro di un archeologo?
Dovrebbe costare non meno di 30 l’ora ma nella realtà costa molto meno. Siamo in fase di pubblicazione dei dati dell’ultima indagine della CIA che si chiama Archeocontratti e posso dire che rispetto al 2016 c’è stato un aumento del prezzo a giornata. Adesso la maggior parte degli intervistati guadagna dai 100 ai 150 euro al giorno ma c’è ancora una grossa fetta di persone che dichiara di guadagnare tra i 50 e gli 80 euro.
Parliamo di archeologi ma i dati ci dicono che si tratta per la maggior parte di archeologhe.
Dai dati 2014 dell’indagine DISCO di cui CIA era partner sappiamo che il 70% degli archeologi è donna. Dato che però cambia perché la forbice si va a stringere superata la soglia dei 36 anni, quando molte donne abbandonano perché hanno gravidanze in atto, figli, e nessuna tutela o possibilità di usufruire di strumenti di welfare. Quindi gli archeologi sono per la maggior parte fino ai 36 anni, salendo con l’età la differenza di genere diminuisce.
Credo che in termini di metri quadri le aree archeologiche nel Lazio siano tra le più vaste del Paese. C’è ancora bisogno di nuovi scavi e di investire nel Lazio in materia di beni archeologici e perché?
I cantieri di ricerca archeologica attualmente aperti in Italia sono pochissimi e la ricerca archeologica pura viene fatta solo ed esclusivamente da Università e enti ricerca. Il 95% dei cantieri in Italia in cui si fa archeologia sono edili. Se noi parliamo di fondi per la ricerca archeologica, sono pochissimi. La maggior parte degli atenei si autofinanzia gli scavi: talvolta il professore deve pagare di tasca sua.
Quindi, le tante notizie di ritrovamenti e scoperte che si fanno in Italia?
Si tratta spesso di cantieri edili. Come è avvenuto per la scoperta della Basilica Vitruviana: a Fano, i lavori di ristrutturazione di una palazzina hanno portato alla luce i resti del leggendario edificio di età augustea descritto nelle pagine del quinto libro del De Architectura. Si è trattato di indagini preventive e non di ricerca archeologica.
Abbiamo bisogno di investimenti nell’archeologia pura, quindi?
Bisognerebbe investire denaro anche per pubblicare i dati perché in Italia, contravvenendo alla norma europea secondo la quale tutti i dati dovrebbero essere pubblicati, si pubblica pochissimo. Raramente avviene che il dato grezzo si trasformi in una pubblicazione scientifica: i soldi destinati a ciò non vengono mai messi nel capitolato. Noi avevamo chiesto che venisse istituito un fondo per le pubblicazioni ma la nostra richiesta non è stata accolta. Avere quei dati avrebbe significato risparmio di soldi pubblici.
E il PNRR?
IL PNRR ha stanziato molti fondi sia per restauro che per molti progetti di ricerca archeologica. Noi ci auguravamo, e in merito avevamo elaborato delle proposte con altre associazioni di categoria, che non fossero fondi a pioggia una tantum ma per finanziare progetti strutturali che andassero a migliorare sia la vita della categoria che la comunità, le imprese e tutto il mondo dell’edilizia attorno a cui gravitano gli archeologi. Noi chiedevamo che i fondi del PNRR venissero usati per elaborare progetti che potessero avere un valore trasversale e valorizzassero l’importanza delle carte archeologiche e dei dati di archivio perché ci sarebbe stato un gran risparmio di soldi per lo Stato e per le committenze ma purtroppo non è andata così.
Concludiamo così: con la domanda che non Le ho fatto.
E’ vero che gli archeologi bloccano i cantieri? No, assolutamente no. Un grande ritrovamento archeologico fa cambiare le carte in tavola ma gli archeologi, se bravi, una volta individuato “il problema” ti trovano anche la soluzione. E posso assicurare che il 99,9 dei rinvenimenti fatti si conclude, grasso che cola, nel giro di una settimana.