COMUNICARE É UN’IMPRESA… SOCIALE

Una giornata di confronto e riflessione quella che ha visto ieri impegnati LegacoopSociali e Redattore Sociale.

Il convegno è stato scandito in due sessioni di lavoro, una prima dedicata al rapporto tra cooperazione e mass media, una seconda agli strumenti e le azioni utili per comunicare.

Il sociale fa notizia è stato l’interrogativo leit motiv della mattinata di lavoro, la quale ha visto la partecipazione di Giorgio Bertinelli, Vicepresidente nazionale Legacoop, Paola Menetti, Presidente LegacoopSociali, Giuseppe Manzo, Responsabile Ufficio Stampa & Comunicazione LegacoopSociali, Mario Calabresi, Direttore de La Stampa, e Giuliano Giubilei, Vicedirettore del TG3.

La presentazione da parte di LegacoopSociali del dossier “Dieci inchieste mai nate – numeri e storie delle cooperative” ha dato il là ad una discussione su come il sociale fa notizia.  L’inchiesta affronta dieci temi, dieci argomenti che incrociano non solo l’interesse del mondo dei media ma anche e sopratutto quello del comune quotidiano, i quali vedono presente, partecipe il mondo della cooperazione. Insomma, dieci articoli mai scritti.

Ma troppo spesso, come ribadito da Paola Menetti, ciò che fa notizia è il problema sociale, non la ricerca di una soluzione  allo stesso. Le cause dell’ “incomunicabilità” del sociale , secondo  Stefano Trasatti (direttore di Redattore Sociale), sono riconducibili ad una visione triste e troppo problematica del settore. Il sociale è visto come emergenza, come cronaca nera, non come positività, accoglienza. I media ricercano la spettacolarità del fatto, la rottura della quotidianità che esso porta con sè, che crea allarme nei lettori/spettatori.

Ma questo allarme può essere negativo, come positivo.


Ma se da un lato vi è dunque una reticenza da parte dei media a trattare il sociale, a “farlo diventare” notizia, dall’altra vi è un’incapacità, volente o nolente, del mondo sociale di non  sapersi raccontare. Manca  al racconto della cooperazione sociale, secondo Calabresi e Giubilei, quel senso di universalità che renderebbe giustizia a tutte quelle impegnate in questo settore.

“Per comunicare bisogna parlare a chi ascolta, non a se stessi” – afferma Paola Menetti.

Ma per comunicare con l’esterno è necessario prima farlo all’interno, come sostiene Massimo Tognoni – responsabile dell’Ufficio Stampa & Comunicazione Legacoop:   è necessario creare una rete di comunicazione interna che restituisca al di fuori un’identità forte, compatta, condivisa, basata su valori e linguaggi comuni.

E poi trovare il modo di raccontarsi, di raccontare il proprio quotidiano come il quotidiano di tutti. Raccontare di come la cooperativa Capodarco ha creato e gestisce il Recup, il sistema di prenotazione sanitaria del Lazio. Di come il Consorzio Sisifo porta avanti in Sicilia il suo progetto di ospedalizzazione a domicilio. Di come la cooperativa Giovani in vita di Reggio Calabria gestisce le terre confiscate alla ‘ndrangheta. Di come Virtual Coop, cooperativa bolognese composta prevalentemente da persone disabili, offre alle imprese ed alle Pubbliche Amministrazioni servizi professionali nel settore Web.

Storie di cooperazione. Storie di persone.


RASSEGNA STAMPA
( a cura dell’ Ufficio stampa e comunicazione LegacoopSociali)


“Dieci inchieste mai nate”, Legacoop presenta numeri e storie delle coop sociali

Presentato a Roma il Dossier con dieci esempi per richiamare l’attenzione dei media sul fatto che la cooperazione incontra temi che hanno una vasta ricaduta sociale e che invece faticano a trovare spazio sugli organi di informazione
ROMA – Dieci inchieste “mai nate”, dalla non autosufficienza al lavoro delle persone con disabilità, dalla salute mentale alla lotta per la legalità nelle regioni del sud. Tutte con il comune denominatore di una forte presenza delle cooperative sociali. Il dossier “Dieci inchieste mai nate – numeri e storie delle cooperative” è stato presentato stamane in apertura del convegno “Comunicare è un’impresa: Sociale” a Roma.
Dieci esempi di “inchieste mai nate” per richiamare l’attenzione dei media sul fatto che la cooperazione incontra temi (sanità, lavoro, immigrazione, legalità, energie alternative e reinserimento dei soggetti svantaggiati) che hanno una vasta ricaduta sociale, che potrebbero essere trattati con approfondimenti e inchieste da parte del giornalismo e che invece faticano, allo stato dei fatti, a trovare spazio sui principali organi di informazione.

Il dossier tratta nel dettaglio numerosi esempi: le esperienze di assistenza domiciliare integrata che si stanno realizzando a Roma e quelle di ospedalizzazione a domicilio del Consorzio Sisifo in Sicilia; l’eccellenza dell’asilo nido di Bagnoro ad Arezzo, un progetto del comune con la cooperativa sociale Progetto 5, composta da 220 addetti (146 soci e 74 dipendenti, soprattutto donne). Ma spunti interessanti sono anche – viene ricordato – la storia umana e professionale di Maurizio Cocchi e della cooperativa di cui è presidente, Virtual Coop, che lavora che offrire alle imprese e alle Pubbliche amministrazioni servizi professionali nel settore web. Ancora, l’esperienza della cooperative Capodarco a Roma, con la gestione del Recup, il centro unificato di prenotazione sanitaria del Lazio. O ancora, sul versante della legalità, il ruolo delle coop sociali nella lotta alla mafia, molte delle quali soggette a intiidazioni e minacce, come la cooperativa “Giovani in vita” di Reggio Calabria, che impiega 60 soci-lavoratori e che tra i mesi di agosto e settembre ha subito minacce, intimidazioni e ritorsioni. O ancora, le esperienze di innovazione e specificità nei campi dell’immigrazione, dell’infanzia, della disabilità e della salute mentale, con l’esempio della cooperativa Noncello che ha ispirato il film “Si può fare”, interpretato da Claudio Bisio.

“Le persone svantaggiate stabilmente occupate nelle coop aderenti a Legacoopsociali – viene affermato nel dossier – sono circa 12 mila: il 45% è costituito da disabili, il 20% da persone con dipendenze patologiche, il 18% da pazienti psichiatrici, l’8% da detenuti ed ex detenuti, il 3% da disoccupati di lunga durata, il rimanente da altre categorie di svantaggio (donne vittime di tratta e altro). Le cooperative di tipo B aderenti a Legacoopsociali sono 650 e il 30% è nel Meridione. Eppure, al grande pubblico, nella stragrande maggioranza dei casi, viene denunciato che “la cooperazione d’inserimento lavorativo (di tipo B) viene raccontata solo in alcuni casi di presunte irregolarità”. Sul versante del lavoro le cooperative sociali di Legacoopsociali danno oggi lavoro continuativo e tutelato da un Contratto collettivo nazionale ad oltre 100mila persone, il 90% delle quali assunte a tempo indeterminato.

“Non dobbiamo guardare indietro – dice la presidente di Legacoopsociali Paola Menetti – ma volgere lo sguardo davanti a noi impostando percorsi di comunicazione che non siano solo difensivi, di risposta alla diffidenza con la quale spesso siamo guardati, ma che affermino positivamente il valore del lavoro di cui siamo portatori e il rapporto di senso che innesca in chi lo fa e in coloro che ne usufruiscono”. Alla giornata partecipano anche il vicepresidente di Legacoop, Giorgio Bertinelli, e i giornalisi Mario Calabresi (La Stampa), Giuliano Giubilei (Tg3) e Stefano Trasatti (Redattore Sociale). (ska)


Sociale: non solo numeri. Calabresi (La Stampa): “Intercettare la vita delle persone”
Convegno Legacoopsociali. Per sfondare su giornali e telegiornali “troppo spesso si punta più sulle proteste contro i tagli, il sovraffollamento a scuola o in carcere, che non sugli esempi di buone pratiche”
ROMA – Per raccontare “il sociale” numeri e tabelle non sono sufficienti, ma servono storie, volti ed esempi concreti: questi non devono però essere portatori semplicemente di un interesse particolare, ma devono essere di ampio respiro, consentendo di allargare lo sguardo e suscitando un interesse quanto più possibile universale. E’ uno dei suggerimenti proposti da Mario Calabresi, direttore del quotidiano “La Stampa” e da Giuliano Giubilei, vicedirettore del Tg3, nel corso del convegno “Comunicare è un’impresa: sociale”, promosso da Legacoopsociali a Roma. Per “sfondare” nel mondo della grande informazione, le notizie che nascono nel sociale hanno bisogno di essere rese in un linguaggio semplice e comprensibile al pubblico, cercando quanto più possibile di interfacciarsi con le esperienze concrete e quotidiane delle persone: un obiettivo che per essere raggiunto ha bisogno del lavoro del giornalista, che troppo spesso invece sconta un deficit culturale derivante dalla mancata specializzazione in materie generalmente complesse e fino a non molti anni fa terreno esclusivo di pochi addetti ai lavori.

Calabresi e Giubilei, guidati nella riflessione dal direttore dell’agenzia “Redattore Sociale” Stefano Trasatti, ragionano insieme sul perché le notizie che nascono nel mondo del sociale, e nel mondo della cooperazione sociale in particolare, non riescono a trovare solitamente ampio risalto nei grandi media. Lo fanno a partire dal “dossier” di “inchieste mai nate” preparato da Legacoopsociali, dieci esempi di storie, situazioni e vicende nate nel mondo della cooperazione che per la vasta ricaduta sociale che si portano dietro “avrebbero meritato ben altra attenzione rispetto a quella che è stata loro dedicata”. Trasatti ricorda i punti che rendono il sociale strutturalmente debole sui media: la complessità dei temi e la mancanza di una competenza specifica al riguardo fra i giornalisti, la tendenza a proporre i temi in modo mesto e triste, l’abitudine a vederli emergere quasi esclusivamente in presenza di emergenze o fatti di cronaca nera, la scarsa frequenza con cui essi diventano temi cruciali nell’agenda politica quotidiana. Senza dimenticare una qualche difficoltà del sociale a comunicare e a farlo bene.

“E’ sbagliata, anche per un telegiornale sensibile a questi temi – spiega Giubilei – la convinzione che si debba parlare del sociale per se stesso, perché per principio fa cose buone: lo sforzo comune da fare è quello di trasmettere le storie, i volti del quotidiano, e di parlare non solamente con quelli ‘del proprio mondo’, ma con tutti”. “Troppo spesso – puntualizza Calabresi – le cooperative sociali, come pure le associazioni e le organizzazioni sociali nel loro complesso, hanno invece veicolato verso i giornalisti messaggi allarmanti, puntando più sulle proteste contro i tagli alle risorse, la chiusura dei centri, il sovraffollamento a scuola o in carcere, che non sugli esempi di buone pratiche e di ‘cose che funzionano’: un asilo all’avanguardia, un’assistenza domiciliare diffusa, un gruppo di studenti stranieri capace di svettare all’interno di una classe o di un percorso universitario”. Una ricorsa all’allarme e alla protesta che parla il linguaggio di giornali e telegiornali ma che paradossalmente non aiuta il sociale a trovare in essi più spazio. Senza considerare poi una devianza tutta italiana, per cui – spiega il direttore del quotidiano torinese – “quando si parla di qualcosa di positivo si viene accusati di edulcorare la realtà, magari per far qualche piacere a qualche amico, o all’editore, o al cardinale”.

Maggiore prontezza dunque nel proporre “notizie positive” e capacità, soprattutto, di raccontare, attraverso di esse, temi che intercettano la vita delle persone, mettendo in evidenza tutti gli aspetti correlati ad un tema (la famiglia e la maternità parlano anche di presenza delle donne sul mercato del lavoro, ad esempio). Il tutto con un maggiore impegno anche da parte dei cronisti, che spesso – magari troppo impegnati verso il pilastro unico della politica – liquidano troppo velocemente gli studi o i rapporti che frequentemente vengono proposti sui temi sociali (le citazioni sono per il dossier immigrazione Caritas/Migrantes, così come per le relazioni della commissione povertà o dell’antimafia). “Sono una miniera incredibile di notizie”, dice il direttore de “La Stampa”. (ska)

fonte: Redattore Sociale