“Revocare la gara Recup per il servizio di prenotazione telefonica delle prestazioni sanitarie o, almeno, sospendere le procedure di cambio appalto, in attesa che vengano risolte tutte le vertenze in corso.” Inizia così la lettera inviata nei giorni scorsi dalla Presidente della Cooperativa aCapo, Roberta Ciancarelli, al Presidente e alla Giunta della Regione Lazio. Un ultimo tentativo, per chiedere una presa di posizione politica sulla “situazione kafkiana” venutasi a creare intorno alla gara di appalto per il servizio Recup regionale.
La vicenda, protagonista di diversi gradi di giudizio in altrettanti tribunali, è divenuta così complessa da risultare oggi impossibile da districare senza generare ulteriori conseguenze. Fermare tutto e ricominciare dall’inizio, in un’ottica di trasparenza e tutela di tutti gli attori coinvolti, sembra veramente essere la migliore soluzione percorribile.
Intanto, le procedure di cambio appalto stanno procedendo a ritmi serratissimi e, conseguentemente, la Cooperativa aCapo sta avviando la procedura di licenziamento collettivo per oltre 800 occupati su un totale di 1100. A preoccupare più di tutto c’è il fatto che, quelli di aCapo, non sono lavoratori qualunque. Da quarant’anni la Cooperativa lavora nel campo dell’inserimento lavorativo, rendendo possibili progetti di integrazione e sviluppo di persone svantaggiate in territori spesso poco sviluppati.
L’impegno quotidiano di aCapo è dare vita ad un complesso meccanismo in grado di trasformare i problemi in risorse, le criticità in opportunità, generando quell’impatto sociale che solo da poco è finito al centro del dibattito politico e sociale. I lavoratori di aCapo, potenziali fruitori di un massiccio sostegno socio-sanitario, sono invece le risorse chiave per fornire supporto ai cittadini di un’intera regione, nell’accesso ad uno dei servizi primari come l’assistenza sanitaria.
Per tenere in piedi una macchina così complessa eppure così ben funzionante, non bastano i buoni propositi o gli investimenti economici. C’è bisogno di lungimiranza, innovazione, valorizzazione delle risorse umane, attenzione alle esigenze del singolo e del gruppo, capacità organizzative e gestionali, know-how tecnico e metodologico. C’è bisogno di non improvvisarsi, in uno dei mestieri più difficili al mondo: valorizzare il lavoro degli “ultimi”.
Come per uno scherzo del destino, la Cooperativa aCapo, che prima era Capodarco, aveva recentemente scelto di cambiare il proprio nome proprio per segnare un punto di svolta, dopo il periodo più brutto della sua quarantennale storia. Era giunto il momento di andare finalmente aCapo, di cominciare una nuova era.
Purtroppo tutti gli sforzi profusi forse non basteranno, perché è indubbio che “un’esclusione basata solo su un codice fiscale mancante e non su criteri di merito, avrà un impatto sulla tenuta di tutta l’impresa”, come si legge nella lettera.
Alla luce di tutto questo, che senso ha parlare di sviluppo e sostegno alle imprese, di inclusione sociale, di rating di legalità e responsabilità sociale? Sono parole al vento, che restano ingarbugliate tra le carte di una burocrazia killer, miope di fronte alle regole del buon senso e dell’equità. Andare aCapo, per ritrovarsi in un vicolo cieco: ci auguriamo che non sia questo l’immeritato finale di una delle più importanti Cooperative sociali del Lazio, che è invece necessario supportare e valorizzare come buona pratica del movimento cooperativo.