In edicola l’8 maggio 2014, l’inchiesta de l’Espresso dedicata anche alle storie delle cooperative aderenti a Legacoop Sociali Lazio, New Horizons e 29 Giugno. Di seguito, un estratto.
Pronto? Qui Rebibbia
Nella casa circondariale di Civitavecchia c’è un altro esempio virtuoso. Da pochi mesi è attiva una falegnameria. Cinque fabbri assunti dal consorzio Solco – lo stesso dei call center di Rebibbia – si preparano a realizzare porte, laminati, mobili, per committenti esterni. Puntano in alto, e stanno tentando di proporre a Ikea una collaborazione. “La legge Smuraglia è per noi vitale, ci permette di abbattere della metà il costo del lavoro e di avviare così progetti altrimenti impensabili”, racconta Mario Monge, presidente di Solco che riunisce 37 imprese sociali.
Tra queste c’è la New Horizons, nata alla fine degli anni 80 come officina meccanica dall’esperienza maturata all’Asinara da un detenuto. Oggi è specializzata nella raccolta dei vestiti usati. Da sei anni si è trasferita nel quartier generale del cassiere della banda della Magliana Enrico Nicoletti confiscato dallo Stato. Quello che era il luogo per antonomasia dei romanzo criminale è diventato uno spazio dove ex detenuti e disabili costruiscono il loro futuro.
Confrontarsi con la pubblica amministrazione spesso però significa essere pagati dopo un anno o in tempi ancora più lunghi. Lo sa bene la coop 29 giugno, che dall’alto dell’ultimo fatturato di 60 milioni, vanta crediti per 20: una condanna a morte per le imprese sociali.
Anche la cooperativa Terre dì Mezzo opera con per gli enti locali: impiega otto carcerati nella falegnameria delle Vallette e dà una seconda chance ai reclusi dell’istituto minorile di Cagliari. Tra i loro dipendenti c’è un ex trafficante di droga arrestato come socio del calciatore Michele Padovano, considerato un fenomeno nel suo nuovo mestiere di ebanista.
Il lavoro porta risparmio
“C’è uno squadrone di 750 detenuti che fa risparmiare allo Stato oltre mezzo miliardo di euro. Si occupa della piccola manutenzione degli istituti e rispetto a operai esterni, che costano al mese 1.500 euro al mese, la loro busta paga è la metà. Questa manodopera low coste richiesta dai Comuni, che affidano a semi liberi (vedi box qui sopra) la cura del verde, la raccolta dei rifiuti, il portierato e la manutenzione delle strade. A Palermo la giunta ha firmato il mese scorso un accordo con il ministero per inserire i reclusi in percorsi di occupazione.
E nei laboratori tessili femminili c’è grande fermento. Il successo di alcune iniziative – come Made in Jail a Rebibbia, Extraliberi alle Vallette e O’ Press a Marassi – ha spinto a creare anche un certificato etico per abiti e gadget prodotti dalle donne recluse: il marchio “Sigillo”. Gatti Galeotti, Filo dritto, Ora d’aria, Impronte di libertà: sono alcune delle coop nate tra San Vittore, Bollate, Enna, Como, Torino, Vigevano, Venezia. E stanno per partire nuove sartorie a Santa Maria Santa Maria Capua Vetere, Palermo, Catania, Genova e Monza.
Un settore in espansione, sul quale il ministero punta molto per far crescere l’occupazione nelle sezioni femminili, ancora a livelli molto bassi. Per due motivi: “(direttori delle carceri ci segnalano principalmente uomini”, spiega Carlo Guarani, vicepresidente della cooperativa 29 giugno, “e poi ci sono lavori manuali, faticosi, che sono considerati più adatti agli uomini”.
Solimene è una delle fortunate. All’alba di ogni mattina lascia Rebibbia per andare in uno dei mercati rionali della periferia romana. Ripulisce la zona dagli scarti di frutta e verdura: quelli che per altri sono rifiuti, per lei sono il futuro”.
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