LA LOCANDA DEI GIRASOLI, ORA ANCHE PREMIO NATHAN, PUNTA TUTTO SUL CATERING (MA SOGNA UN BISTROT)

Famosa in tutto il mondo e studiata come modello anche all’estero, La locanda dei girasoli ora ha ricevuto anche il Premio Nathan. E’ una cooperativa che contribuisce da venti anni al miglioramento della qualità della vita e all’inclusione sociale di giovani con sindrome di down (e non solo). “E’ un premio al modello adottato, premiato più volte e copiato all’estero, che ha dato lustro alla città di Roma” commenta Stefania Scarduzio, presidente della cooperativa. E’ un riconoscimento prestigioso ad una realtà che con l’esempio ha dato speranza a moltissime famiglie, in Italia e all’estero, dimostrando che con il lavoro di un team di esperti psicologi, assistenti sociali e cooperatori, nonché con il coinvolgimento delle famiglie, è possibile esaltare le competenze di ciascun giovane, indipendentemente dalla sua sindrome. Intanto, però, La locanda non ha più una sede. Sogna un bistrot ma nel frattempo è costretta a puntare tutto sul catering.

Stefania, il Comune di Roma ha istituito il Premio Nathan dedicato al Sindaco di Roma in carica dal 1907 al 1913 e “fondatore e benefattore dell’Opera Pia dedicata alla madre Sarina, quale figura esemplare in grado di unire e rendere concretamente operanti a beneficio della comunità cittadina competenze manageriali ed impegno civico, rettitudine e integrità personale, capacità di visione prospettica nella gestione della cosa pubblica, in un’ottica di innovazione, efficienza, prossimità”. E’ un Premio molto importante. Ma come hanno accolto la notizia relativa alla vincita i ragazzi de La locanda dei Girasoli?

Pur non conoscendo la storia di Nathan, miglior sindaco di Roma che diede vita tra l’altro anche al primo piano regolatore di Roma, i ragazzi quasi stavano per mettersi a saltare sul palco dalla felicità. Quando hanno capito che il premio era dedicato al lavoro che fanno e che facciamo tutti insieme alle famiglie, hanno provato una grande gioia perché sanno che è un riconoscimento alla loro capacità di fare bene il loro lavoro, ma anche a quella di riuscire a essere inclusi nella società e di essere accolti con i loro diritti e le loro prerogative.

La locanda dei girasoli è un punto di riferimento per tante famiglie

Io lo ho sempre detto: La locanda è una piccola realtà di ventiquattro persone ma in realtà è una cooperativa alla quale si sono rivolte centinaia e centinaia di famiglie. Da qui sono passati quattrocento lavoratori con sindrome di Williams, di down e diverse altre… Perché La locanda non è solo un luogo dove fare inserimento lavorativo. E’ un posto dove si cerca di dare una speranza alle famiglie che hanno bisogno di avere risposte su ciò che i figli potranno diventare da adulti. In tanti si interrogano sul dopo di noi. Ma la verità è che dopo i 18 anni i ragazzi vengono abbandonati. Restano in aree protette ma un centro diurno a un ragazzo down non serve a molto perché ha capacità residue elevate.

Cosa è possibile fare a partire da queste capacità residue?

Noi abbiamo insegnato ai ragazzi a parlare di vini, c’è chi è un buon aiuto cuoco: ognuno ha un ruolo diverso. Ma devi spenderci del tempo, buttarci il cuore dentro. La locanda non è un semplice luogo dove noi prendiamo i ragazzi e insegniamo loro a fare cose. No, noi li trasformiamo completamente: abbiamo avuto giovani con sindromi tali da non consentir loro nemmeno di parlare all’inizio e invece adesso parlano in inglese, ti abbracciano, protestano anche se non gli va bene una cosa: insomma, qui cambia la prospettiva della persona. Quello che cerca di fare La locanda è fare capire che se c’è una possibilità noi la esaltiamo e portiamo la residualità alla massima potenza. Basta con ragazzi che stanno lì senza far nulla: bisogna lavorarci insieme a psicologi, assistenti sociali. Noi abbiamo una vera e propria équipe e lavoriamo anche sui cosiddetti normodotati, come camerieri e chef, perché sappiano cosa far fare ai ragazzi e li coinvolgano nelle giuste attività. Tra questi giovani che includiamo nella Locanda c’è chi si evolverà molto e chi meno, ma una evoluzione c’è sempre e sicuramente. Per me è un piccolo grande sogno e lo è anche per famiglie americane, francesi, spagnole che sono venute in Italia a cercare di capire come funzioniamo. Ci sono tante pubblicazioni su di noi. E’ difficile far capire agli altri che quando hai un ristorante che lavora con i disabili è un punto di ritrovo e di speranza per le famiglie, utile per far capire loro cosa i figli potranno fare quando saranno adulti. E noi sappiamo che potranno fare mille lavori perché dei nostri uno dopo che ha lavorato qui ad esempio è entrato all’Ikea, etc…

Come è nata questa esperienza?

Nel 1999 i genitori di alcuni ragazzi, visto che nessuno dava opportunità lavorative ai figli, decidono di aprire un ristorante al Quadraro. Si chiamava Girasoli cooperativa sociale. Era la prima esperienza italiana di un locale dove lavoravano ragazzi con sindrome di down. E così si rompe il muro di diffidenza sulla disabilità. Non tutti sono preparati ad accogliere un ragazzo con questa sindrome e all’inizio sono titubanti: alcuni non sanno cosa dire. Poi capiscono che basta un sorriso e chiedere le cose normalmente perché loro rispondano: “acqua naturale o con gas?”.

L’esperienza di quei genitori non è stata per niente facile

Negli anni, accumulano perdite su perdite e nel 2013 subentra il Consorzio Sintesi che già lavora con i disabili ad attività molto complesse come i controlli sul fisso da remoto. Inizia così un duro lavoro di progettazione e la risalita ma la sede del ristorante al Quadraro era nascosta e la gente doveva fare i salti mortali per raggiungerla. Così, quando siamo arrivati nel 2019 ad avere il primo utile, è saltato tutto il gioco perché non siamo riusciti a reggere la pandemia. Abbiamo messo in liquidazione la vecchia cooperativa perché era tropo complicato ripartire e dovevamo lasciare l’immobile che stava crollando e era da rifare. Ora stiamo aspettando e abbiamo chiesto supporto a diverse Fondazioni.  Nel frattempo non potevamo stare fermi: i ragazzi stavano da soli, piangevano, stavano a casa senza far niente e a quel punto abbiamo deciso di ripartire con i catering, per dare loro l’opportunità di rimettersi in moto.

Pensate che La locanda dei girasoli, quindi, si trasformerà in una esperienza di catering anche sul lungo periodo?

Noi in realtà vorremmo una sede. Ci piacerebbe dare vita a un bistrot perché i ragazzi sono più dinamici e possono fare turni a rotazione. Abbiamo chiesto sostegno a qualche Fondazione: speriamo che ci sia questa occasione. Altrimenti, continueremo con il catering. Stringeremo i denti e faremo come abbiamo sempre fatto.