O.R.T.O CONSEGNA I PRODOTTI DELL’ECONOMIA CARCERARIA AL PAPA

Un carico di prodotti della cooperativa sociale O.R.T.O. e della rete dell’Economia Carceraria è stato consegnato da poco all’Elemosiniere del Vaticano e verrà presto distribuito a chi ne ha più bisogno nella Capitale. Si chiuderà così il cerchio che si è aperto con l’udienza istituzionale per gli auguri di buon anno del 12 gennaio, durante la quale il Comune di Roma e il suo assessorato all’Ambiente e all’Agricoltura hanno offerto a Papa Francesco un cesto rappresentativo dei prodotti di economia etica e solidale della rete di social food italiana. “La cooperativa ha messo nel cesto le sue farine integrali da cereali e legumi della linea ‘Farina del tuo sacco’, facendosi da tramite per la consegna di svariati prodotti alimentari di eccellenza provenienti dalle carceri italiane” si legge in una nota stampa. “L’evento segna un punto importante nella storia della cooperativa e di tutto il comparto del social food – continua il comunicato della cooperativa associata a Legacoop Lazio -. Si tratta di un prestigioso riconoscimento del lavoro svolto da migliaia di persone che nel nostro Paese si impegnano nel sociale costruendo, oltre che economia etica e sostenibile, valori e luoghi di cambiamento protesi a concretizzare comunità più eque e inclusive”.

O.r.t.o sta per Organizzazione Recupero Territorio e Ortofrutticole, il nome di una cooperativa impegnata in attività di formazione e inserimento di persone svantaggiate nel settore dell’agricoltura multifunzionale che ha come base operativa la serra e il tenimento agricolo della Casa circondariale di Viterbo, oltre ad avere un laboratorio di trasformazione e confezionamento. I suoi prodotti sono in vendita in tutta Italia grazie alle reti di e-commerce e portali di Istituzioni e di privati. Su carta, la denominazione societaria aziendale è quella di cooperativa sociale. “Per statuto, non abbiamo purtroppo la possibilità di chiamarla cooperativa di agricoltura sociale perché di fatto non esiste e questo genera equivoci su ciò di cui ci occupiamo” ci racconta il presidente Marco Di Fulvio in una intervista. Indubbiamente, però, al di là della denominazione, quello dell’agricoltura sociale è un trend in crescita che spesso si manifesta nella forma di impresa cooperativa. Secondo il Sole 24 Ore, “in otto anni sono aumentate del 250% le aziende che svolgono, oltre al regolare impegno legato alla coltivazione della terra e all’allevamento, attività sociali perfettamente integrate”.

“La cooperativa sociale O.r.t.o. è un esempio di come la cooperazione possa essere e sia di fatto veicolo di inserimento lavorativo. Legacoop Lazio cercherà di costruire la rete necessaria allo sviluppo dell’impresa” spiega Massimo Pelosi, Responsabile di Legacoop Distretto Lazio Nord.

 

 

Le attività agricole di O.r.t.o. sono a tutti gli effetti inserite in un progetto di filiera completo, anche se le difficoltà nel portare avanti una attività simile si scontra con i ritmi e i limiti del contesto penitenziario. “Dentro il carcere di Viterbo abbiamo due serre da cinquecento metri quadrati, un oliveto da trecento piante e una lamponaia con altre trecento, cento di melograno, altrettante di fragole, e poi un campo aperto di erbe aromatiche officinali e di radici commestibili – chiarisce il presidente-. In serra, produciamo germogli per consumo crudo da più di 20 varietà di semi che distribuiamo ai ristoranti e ai dettaglianti di alimentazione bio per consumo fresco”. E ancora, dice: “A ridosso della cinta muraria abbiamo anche un laboratorio di trasformazione, polvere, miscele, formulazioni aromatizzate e da qui all’estate speriamo di ampliare il laboratorio per la produzione di confetture, gelatine, succhi di frutta, conserve. Inoltre, abbiamo anche una sala destinata alla molitura di cereali e legumi”.

L’obiettivo, spiega, è “quello di generare attraverso un’azione combinata di agricoltura e educazione alimentare e ambientale possibilità di riscatto della persona in condizioni svantaggiate”. L’approccio è quello multifunzionale con interventi di tipo educativo, di inserimento sociale e lavorativo. “Mi trovo a lavorare con persone, non con detenuti, persone con dignità riconosciuta dalla Costituzione. Non chiedo mai per quale pena stiano dentro. A noi interessa la loro vita dal tempo zero. E’ da lì in poi che noi misuriamo la persona” chiarisce il presidente che, in merito alla polemica sull’ergastolo ostativo dice: “non sono un giurista, ma è stato dichiarato incostituzionale. Una persona ex fine pena mai che ha goduto di questa sentenza si trova ora a partecipare alle nostre manifestazioni, agli incontri, ai dibattiti. Era condannato a vita ma si è riscattato e ha preso tre lauree in carcere duro e anche durissimo e ha un sorriso straordinario”.

Per il futuro dell’impresa, l’obiettivo è potenziare la struttura produttiva. “Passeremo dagli attuali 45 metri quadri fuori dai cancelli ai 250 metri quadri composti da magazzino, spazio per gli incontri, la degustazione e la vendita. Vogliamo diventare un punto di riferimento, anche se decentrato, perché purtroppo ci troviamo fuori città – commenta Di Fulvio-. Immaginiamo un polo che serva da testimonianza e da spazio di informazione su quel che succede in ambito di reinserimento socio lavorativo. Così il nostro è un prodotto che diventa alfiere, testimone, simbolo del riscatto della persona svantaggiata”. Quello che manca però sono i giovani, e il contributo della società, anche se presto arriveranno i giovani del Servizio Civile Universale e si affacciano anche laureandi con testi sperimentali.

“Le difficoltà sono diverse e sono riferibili alla struttura organizzativa stessa del carcere italiano – spiega Di Fulvio-. La sintesi del nostro quotidiano è il contrasto tra l’entusiasmo progettuale sostenuto anche dalla partecipazione fattiva dei detenuti e carenze strutturali in conseguenza delle quali se ci sono emergenze date da altri reparti e sezioni tante volte arrivi al cancello e ti dicono ritorni a casa”.  Di fatto, racconta, “attualmente riusciamo a lavorare tre ore al giorno e non tutti i giorni. Si tratta di un contesto in cui l’auto-sostenibilità e la produzione agricola sono messe a rischio perché in tre ore ti raduni, ti cambi, dai le istruzioni, e quindi le tre ore si riducono a due”. Indispensabile, però, dare continuità agli interventi per supportare con operazioni di solida redditività l’impegno dei detenuti perché “stare solo sulla raccolta fondi diventa una operazione frustrante e assistenzialistica e a chi sconta la pena bisogna dimostrare nel concreto che il reinserimento lavorativo sarà possibile” conclude Di Fulvio.