SAN LEONE, 50 ANNI DI STORIA DI UN SOGNO DISEGNATO SULLA SABBIA DI SPERLONGA

“Mezzo secolo di persone, famiglie, vite, cambiamenti, lacrime, sorrisi, nonni, genitori, figli”. La cooperativa San Leone è la “Storia di un sogno disegnato sulla sabbia”, come scrive Irene Chinappi nel suo libro. Di questa avventura, che a 51 anni dalla sua nascita si è trasformata in una impresa con un valore della produzione che si prevede quest’anno sfiorerà gli 8 milioni, abbiamo parlato con Davide Ilario e Massimo Terella, testimoni dei più recenti sviluppi della cooperativa. Forte la volontà di investire in sostenibilità ma, dicono, “serve ripensare l’accesso al credito per le cooperative”.

Poco più che ventenni, gli uomini di Sperlonga erano rientrati dalla Russia e dai campi di prigionia in Germania a piedi, in sella ad un asino, su un carretto. Ne avevano riconosciuto la terra bruciata e il mare illuminato da una luce splendente che sorge da secoli così bianca solo in quell’angolo di costa, ma tutto il resto era sfigurato. Le case vicino la sponda erano state ormai rase al suolo dai bombardamenti aerei, mentre tra le macerie si nascondevano ancora insidiose le mine. I figli sopravvissuti si erano nascosti nelle grotte a Pastena, i più piccoli erano cresciuti con le urla dei tedeschi e i fischi delle sirene. Quale futuro avrebbero mai potuto immaginare per un luogo ormai spinto tra la disperazione ed il nulla dalla Seconda guerra mondiale?

Per generazioni a Sperlonga avevano vissuto credendo che la salvezza sarebbe arrivata dal mare: gli uomini erano quasi tutti pescatori. Ma è bastato un ventennio perché iniziassero a essere riconosciuti come gli “zappaterra”, un dispregiativo derivante dal sistema latifondista che ben presto avrebbe invece acquisito un nuovo significato grazie a un pugno di visionari. Certo, le condizioni non erano mai state propizie sino ad allora per l’agricoltura in quelle zone del Lazio. “A Sperlonga i terreni erano aridi. Fondi, al contrario, era immersa in una piana paludosa. Il Consorzio di Bonifica a partire dal 1984 realizzò le prime canalette di cemento a cielo aperto. I fondani poterono così avviare un fiorente commercio, specie con la Germania, di arance: tra le migliori e più fortunate produzioni della piana. Non tardò ad arrivare anche a Sperlonga l’opera di bonifica (…). Scomparvero le viti e gli oliveti, vennero abbattute anche le agavi e i fichi d’India, lasciando spazio alle nuove coltivazioni. I terreni erano finalmente pronti. Ora toccava agli uomini” scrive nel libro “La cooperativa San Leone” l’autrice Irene Chinappi.

Per quanto non conoscessero le leggi del mercato, non avessero idea di come commercializzare i prodotti e non fossero alfabetizzati, gli zappaterra che fondarono negli anni 70 la cooperativa San Leone avevano conosciuto in guerra la forza del principio di mutualità. “Sapevano che nelle difficoltà vince chi si aiuta, chi si tiene per mano, chi cammina verso un obiettivo comune e lo condivide. Era un atteggiamento naturale, il loro. Non era mai accaduto che chi avesse dei semi nuovi, ad esempio, li tenesse solo per sé. Tutti dovevano poter crescere. Era il tempo, dunque, di far diventare quel principio una realtà giuridica, che desse alla forza collettiva un nome e un’organizzazione” continua Chinappi. Così, dall’iniziativa di un gruppo di agricoltori coeso, disegnata con le dita sulla spiaggia di ponente di Sperlonga, è nata la San Leone. Ed è così che quel gruppo di amici i cui soprannomi erano Cecchino, Fasuglj, Duje e pett, La zannetta, Tommasino, Gliù brutt, Cianciotto, Capacchione, Rocco e Pesce Pesce, seppur forse inconsapevolmente, diedero vita il 28 giugno 1972 a una realtà imprenditoriale che oggi, cinquantuno anni dopo, ha un valore della produzione pari a 7.684.575 di euro. Nonostante il loro esempio, però, resta oggi più difficile che mai incontrare giovani pronti a investire in agricoltura perché spaventati dalle difficoltà derivanti dall’aumento dei costi delle materie prime, dell’energia e dai cambiamenti climatici e, forse ancor prima, dai tanti sacrifici che la terra richiede. “E’ un problema che dobbiamo capire come affrontare” spiega Massimo Trani, presidente della cooperativa San Leone che oggi è una realtà solida, fatta da molti soci conferitori che hanno aziende a conduzione familiare ma le cui nuove generazioni non sembrano dimostrarsi ancora del tutto pronte a tramandare una storia così sfidante.

“Oggi ci occupiamo della commercializzazione dei prodotti dei nostri soci che conferiscono qui da noi il prodotto: noi smerciamo ai clienti tra il centro e il Nord Italia pomodori, zucchine, melanzane, cetrioli, verdura cappuccina, orticole, sedano bianco, datterino e ciliegino, piccadilly che vengono prodotti tra Fondi e Sperlonga” spiega Davide Ilario, uno dei soci della cooperativa. Non sembra essere stato registrato un calo della produzione. “Le grandinate improvvise in agricoltura sono un problema per chi ha un campo all’aperto ma noi per fortuna abbiamo tutto sotto serra. Certo, ci sono state due o tre eventi calamitosi che hanno distrutto dieci-quindici ettari di coltivazioni ma per un certo verso il caldo prolungato di questi giorni sta in realtà favorendo la maturazione delle ortofrutticole- chiarisce -. Per quanto riguarda l’acqua, il problema inizia a riguardare la qualità. Il clima arido ci rovina le falde perché vi si infiltra l’acqua salata”.

I costi delle materie prime rimangono un problema: dai concimi fino ai costi di manodopera e di gestione elevati. “Gli aiuti ci sono ma sono studiati male. Penso a un bando che offre la possibilità di acquistare trattori e mezzi agricoli con la copertura dell’80 per cento dei finanziamenti a fondo perduto ma perché dare una percentuale così alta a poche aziende anziché dare una percentuale inferiore a più realtà?” si domanda.

Anche se il contesto economico e finanziario non è dei più propizi, comunque, rimane nella San Leone la volontà di investire negli impianti fotovoltaici con la partecipazione al bando Agrisolare 2023, e più in generale in sostenibilità, da sempre uno dei pilastri dell’agricoltura promossa dalla cooperativa che, tra l’altro, adotta tecniche di lotta biologica con il lancio di insetti utili contro quelli dannosi. “Quando la nostra assistenza tecnica riscontra presenza di afidi o di altri insetti come il ragnetto rosso, ad esempio, che rovina il frutto e lo macchia, noi lanciamo gli insetti utili che lo combattono (il bacillus, l’orius levigatus…)” aggiunge Davide Ilario.

Fondamentale, però, un ripensamento dell’accesso al credito per chi lavora nel settore. “Bisognerebbe sburocratizzarlo perché al momento è fortemente ingessato. Le banche chiedono firme fideiussorie e gli amministratori delle imprese cooperative sentono il peso del dover andare a firmare in banca prendendo solo su di sé una responsabilità enorme per tutti i soci – spiega Massimo Terella, responsabile amministrativo e finanziario della cooperativa -. Essendo le cooperative sottocapitalizzate, bisognerebbe inventare nuovi strumenti perché, soprattutto per quanto riguarda le garanzie, il problema è importante. E riguarda, poi, anche la qualità del credito. Ci sono cooperative che non sono attente e badano solo al volume di affari ma se questo non si trasmuta in disponibilità in termini di liquidità la cooperativa soffre perché ha tutto questo credito che non viene spremuto in liquidità pura”.

“Per il futuro, vorremmo cambiare qualcosa perché appoggiarci solo sul canale tradizionale non basta e bisognerebbe diversificare e allargare il volume di affari che va a incidere sulla gdo e anche per una quota parte all’estero” commenta Terella. “Certo, avremmo bisogno che in ciascuna zona ci fosse un consorzio di cooperative che definisse i prezzi minimi perché qui noi agricoltori ci facciamo la lotta l’uno con l’altro con la competizione sui prezzi. Ma più che una iniziativa locale ne servirebbe una regionale o nazionale” conclude.