Ospitare disabili psichici in appartamenti di civile abitazione: erede della Legge Basaglia, l’esperienza della cooperativa Ecass nasce a Roma, nel cuore della Magliana. “Non abbiamo mai avuto grossi problemi. Forse perché è un quartiere che è da sempre popolato da molte persone con difficoltà– racconta Massimo Sala, presidente della cooperativa Ecass che negli anni 80 diede vita alle prime comunità alloggio della Capitale-. In più noi crediamo nei piccoli gruppi e che sia prioritario lavorare molto sulle relazioni, sulla gestione della vita quotidiana e sul rispetto delle regole di convivenza”.
Alle volte, però, alcune regole dettate dalla burocrazia più insensata sono difficili da comprendere anche per chi gestisce queste realtà. “Per quasi venti anni abbiamo sempre cucinato noi, aiutando ed insegnando agli utenti a fare la spesa, a scegliere i prodotti, a preparare in autonomia la colazione o il pranzo” continua Sala. Poi sono sopraggiunte le regole sulla HACCP ed il lavoro si è complicato. Se, per esempio, ti avanza una fettina di carne, non puoi fare quello che si fa in qualsiasi famiglia, metterla in frigo o congelarla perché rischi sanzioni. Così da allora abbiamo iniziato a rivolgerci ad un catering. Ma è proprio così che si snatura di molto il lavoro che noi facciamo”. L’obiettivo, infatti, è quello di sviluppare la piena autonomia dei residenti per poi aiutarli a reinserirsi. Gestire sé stessi e una casa, assumere quando necessario la terapia secondo prescrizione, conoscere la città, prendere i mezzi pubblici in autonomia, frequentare centri di formazione professionale e infine andare a lavoro: sperimentare la capacità di costruirsi una vita normale è una cura per tanti. “Temo invece che in questa società si stia ritornando a prevedere delle grandi strutture formalmente tutte corrette e senza un granello di polvere ma incapaci poi di assolvere al compito di reinserire e facilitare l’autonomia – continua il presidente-. Per problemi economici e di gestione del disabile psichico si sta tornando a pensare: meglio rinchiuderli in una bella struttura, magari lontano da occhi indiscreti…”. Per Ecass, la soluzione invece sta nella convivenza di diversi modelli di strutture a seconda del problema dei singoli. “Una delle filosofie che ci guida è che chiunque venga da noi non dovrà restarci: non sappiamo per quanto tempo ma prima o poi dovrà andare via – chiarisce il legale rappresentante di Ecass-. Noi lavoriamo per cercare di riabilitare il soggetto e renderlo in grado di rientrare nella sua famiglia, di affittarsi una casa sua o comunque crearsi una situazione autonoma o, quando non è possibile, andare anche in strutture che possano valorizzare le autonomie acquisite (case famiglia o dopo di noi o altro. – continua-. Negli anni di risultati di questo tipo ce ne sono stati anche se non sono stati tantissimi ma sono preziosi”.
C’è infatti chi ce l’ha fatta. “Negli anni 80 un gruppo di tre persone che erano state istituzionalizzate tutta la vita andò ad abitare a Tor Bella Monaca. Hanno vissuto da soli con un po’ di assistenza domiciliare comunale – ricorda Sala-. C’è anche qualcuno che ha messo da parte dei soldi e vive da solo; qualcuno ha persino comprato casa, altri sono tornati nelle loro famiglie e ci vivono” dice. Dopo l’entrata in vigore della Legge 104 e la riforma del collocamento obbligatorio le cose si sono fatte paradossalmente più difficili , purtroppo, siamo riusciti a inserire solo tre o quattro persone. E’ stata una sconfitta. Prima, invece, riuscivamo a reinserire diverse persone” ammette. Le soddisfazioni ci sono state. “Siamo riusciti a reinserire una persona in un supermercato. Oggi non ha nemmeno più la nostra assistenza ed è autonoma – dice-. Chiaro, sono cose che alle volte funzionano e altre no: penso a una senzatetto a Termini che qui da noi fece passi da gigante. Ogni volta che sembrava si trovasse una soluzione lavorativa che le avrebbe permesso di fare il salto e poter pensare a costruirsi una vita autonoma, sorgevano problemi burocratici – spiega il presidente di Ecass-. Così lei dopo averci provato e riprovato è tornata a Termini da dove era venuta. Ogni volta che la rivedo penso: almeno cinque anni di normalità con noi li ha avuti”. Risolutivo, spesso, è avere la possibilità di guidare all’autonomia e all’indipendenza: ma per fare questo occorre poter disporre della possibilità di garantire un posto di lavoro e una casa a chi ha uno svantaggio psichico. “Se avessimo queste due cose, con l’assegnazione , per esempio di una abitazione di edilizia pubblica e la riserva di un posto di lavoro, la nostra cooperativa sarebbe in grado ogni anno di dimettere due persone, con un risparmio per la Regione notevole” racconta. Obiettivo diventato sempre più impossibile, da quando gli affitti sono volati alle stelle e il mondo lavorativo si è trasformato in una realtà sempre più competitiva. Si potrebbe pensare anche ad una forte sinergia tra le cooperative, imprese capaci di anteporre al profitto lo scopo sociale, e che si moltiplichino i progetti di solidarietà “Abbiamo bisogno di realtà imprenditoriali che siano disposte ad assumere e ad affittare anche a chi ha avuto una fragilità a prezzi calmierati” conclude Sala.
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