Nell’ultimo triennio, nel Lazio, diminuisce in modo significativo la produzione di uve da vino con una media complessiva del 30% con conseguente erosione dei redditi dei produttori non compensati dall’aumento dei prezzi di vendita alla distribuzione (+10, 12%) assorbiti dall’aumento dei costi di gestione (+ 12%) e dalla diminuzione dei consumi.
La minor produzione e i fenomeni ad essa legati, nel Lazio, sono dovuti non solo al cattivo tempo -come nel resto del Paese- ma anche a fenomeni di abbandono e di espianto dei vigneti che oramai interessa vaste aree tra le più vitate fino a qualche anno fa – come nell’area dei Castelli Romani- fenomeno che colpisce soprattutto i piccoli e medi produttori. Lo stesso aumento delle esportazioni (+7%) ha solamente in minima parte compensato il trend negativo.
Da una ricognizione realizzata da Legacoop Agroalimentare Lazio, risulta che la vendemmia, nell’anno 2014, sarà caratterizzata da una perdita di prodotto che oscilla tra il 10 e il 15%, con punte più elevate nel viterbese, pari a una previsione di 100/150.000 quintali in meno, tra uve bianche e rosse.
A questo dato, rispetto agli anni precedenti e fatte pochissime eccezioni, si aggiunge la scarsa qualità delle uve, nonostante l’aumento degli interventi e dei costosi trattamenti effettuati per evitare o ridurre l’insorgere delle tradizionali malattie come la peronospora.
Il fenomeno riguarda tutta l’Italia interessata dal maltempo, ma nel Lazio la situazione è certamente più preoccupante, poiché si aggiunge ai ritardi, al deficit strutturale del settore e alla carenza di strategie di sviluppo.
Dopo alcuni anni di crescita caratterizzata da interessanti interventi innovativi nei vigneti, nella produzione, nella trasformazione e nelle politiche commerciali con la nascita di importanti aziende e un aumento diffuso della qualità del prodotto nel Lazio – il settore, negli ultimi cinque anni, non solo ha rallentato la sua corsa ma per alcuni aspetti e in alcuni territori sembra che si sia letteralmente fermata.
Su queste situazioni hanno inciso non solo questioni strutturali che riguardano il settore – piccole dimensioni di impresa, le dinamiche di mercato che premiano regioni più virtuose – ma anche la crisi che ha investito alcune grandi aziende – cooperative e non- come la Cantina sociale di Velletri, Co. Pro. Vi di Velltri- con 800 produttori soci; ma soprattutto la mancanza di una politica per il settore. E l’assenza delle istituzioni territoriali e regionali.
Oggi, il Lazio – duole sottolinearlo- è tra le ultime Regioni d’Italia, scavalcato da altre realtà come Marche, Abbruzzo, Molise, Sardegna e Campania: realtà che fino a cinque o dieci anni fa erano ben lontane da noi, sia per qualità che per quantità di uve prodotte.
Il Lazio, oggi, è al quattordicesimo posto tra le regioni italiane, con poco più di un milione e cento quintali di uve prodotte, contro i sei milioni del 2005.
Altro elemento negativo è che, nonostante la riduzione rilevante della produzione regionale, oltre il 30% del prodotto viene ancora commercializzato e venduto ad imbottigliatori e trasformatori industriali e solo il 60/ 65% viene imbottigliato, valorizzato e commercializzato direttamente dai produttori privati e da cooperative con propri marchi.
A dispetto di tutti gli sforzi e al di là delle uscite propagandistiche, il vino commercializzato attraverso la ristorazione romana -che sembra non amare molto il suo vino- non supera il 10%. E anche i mercati tradizionali per l’esportazione come il Canada, il Centro e il Nord Europa, sono il leggera flessione; mentre crescono gli Usa e i nuovi mercati in Asia, mentre per l’India e la Cina in particolare dobbiamo ricostruire una strategia più efficace.
“Se non ci fossero stati gli interventi comunitari a sostegno degli investimenti e della promozione delle imprese vitivinicole (OCM vino), la situazione del settore sarebbe ancora più tragica)- dichiara il presidente di Legacoop Agroalimentare Lazio, Giuseppe Codispoti-. Si tratta di un settore strategico che rischia la marginalità. E il paradosso è che tutti ne parlano: la politica, le istituzioni, i cosiddetti esperti e gli organizzatori di eventi, ma la realtà è sotto gli occhi di tutti. Ed è inimmaginabile sostenere la strategicità dell’agroalimentare laziale nell’economia e per lo sviluppo – senza interventi strutturali in quello che dopo l’ortofrutta è il settore più importante dell’agroalimentare”.
Che fare, dunque? Codispoti sostiene che occorre un piano straordinario per il settore, “costruito con gli operatori, in tempi brevi; uno strumento fortemente innovativo, veloce, pronto per la prossima vendemmia”.
Il piano dovrebbe affrontare tre temi- e in particolare:
– La revisione generale e profonda di tutto il sistema dei disciplinari di produzione e delle DOC: 27 sono troppe e non funzionano, non non ha quindi alcun senso continuare a tenerle in piedi in un mercato in continuo cambiamento;
– Poche denominazioni e con una diversa articolazione nel territorio (per esempio, nei Castelli romani ne basterebbe una con sottozone). Puntare sulla valorizzazione delle eccellenze regionali- come il Frascati, un vino conosciuto in tutto il mondo ma investito da una crisi sui prezzi che non ha spiegazione alcuna, se non nel cattivo funzionamento del consorzio e per le colpe degli stessi produttori- sui vitigni autoctoni come il Cesanese, il Nero buono, il Bellone, la Malvasia puntinata e il recupero di antichi vini come l’Aleatico di Gradoli e il Cannellino di Frascati, etc… Senza perciò rinunciare, come già fanno alcune cantine, a puntare su vitigni non tradizionali per noi e premiati dal mercato.
– Interventi per il sistema cooperativo che, nonostante gli errori compiuti, rimane il primo produttore con oltre il 50% delle uve prodotte, trasformate e commercializzate; con punte imprenditorialmente molto avanzate, come Fontana Candida e la cooperativa Cincinnato di Cori; confermandosi come il soggetto più importante e su cui puntare per qualsiasi politica di sviluppo, poiché l’unico in un mercato sempre più competitivo, in grado di dare prospettiva a tanti piccoli e medi ma anche grandi produttori.
Bisogna recuperare sulla qualità ma bisogna anche crescere, facendo quantità, perché in un mercato globalizzato è strategico e la cooperazione è lo strumento principale, essendo il primo produttore italiano ed europeo.
-Una politica di interventi di sviluppo e di forte cambiamento del settore, così come ipotizzato, non può non affrontare alla radice il tema dei consorzi di tutela. E’ ora di sbarazzarsi – conseguentemente alla riforma delle DOC- di tanti strumenti che non hanno mai funzionato per costruirne uno solo, a livello regionale, facendolo diventare non solo – come previsto dalla legge- il custode dei disciplinari e dei controlli previsti, ma anche uno dei motori dello sviluppo e dell’innovazione.
-Intervenire sui PRG dei Comuni interessati, introducendo provvedimenti soprattutto in materia urbanistica tali da impedire l’ulteriore cementificazione di centinaia di ettari di vigneti, come da anni sta accadendo in particolare nell’area dei Castelli romani, dove il Lazio ha perso negli ultimi anni oltre 300 ettari di vigneti.
“Proponiamo – continua il presidente Giuseppe Codispoti- che in attesa di un piano per il settore, sia realistico pensare ad un Provvedimento di carattere urbanistico per la salvaguardia dei vigneti nella prospettiva anche di un piano regolatore degli stessi. Ne va della vita e della prospettiva non solo di un settore della nostra economia, ma anche della tutela del territorio, della sua qualità, del paesaggio, della nostra storia”.
– Un piano per la promozione in Italia e all’estero, utilizzando e mettendo in rete tutte le opportunità di finanziamento provenienti dall’OCM vino, dal PSR e da fondi diversi a disposizione del settore, promuovendo anche per questo aspetto un piano di medio-lungo periodo, con iniziative mirate, scegliendo i mercati con attenzione e senza le improvvisazioni del passato.