13 ANNI FA, LAVORATORI DI UNA CASA EDITRICE IN CRISI “SI FONDANO DA SOLI”
Erano tre dipendenti di una società non più in grado da un anno di pagare gli stipendi. Lavoravano nell’industria editoriale dal ’99: non volevano rinunciare al know how acquisito e abbandonare. Così hanno dato vita alla casa editrice romana “Red Star Press”. Si sono fondati da soli. “Abbiamo restituito il credito dell’impresa alla tipografia con pagamenti dilazionati e abbiamo iniziato a stampare per conto nostro” spiega Cristiano Armati, presidente della cooperativa.
Mai ricevuto finanziamenti, eppure la vostra somiglia molto alla storia di un workers buyout. E’ vero?
E’ vero, noi non abbiamo mai ricevuto finanziamenti però la nostra storia è effettivamente quella di un gruppo di lavoratori che decidono di fare da soli. Noi veniamo chiaramente dall’editoria e ci siamo trovati con molti, molti mesi di stipendi non pagati e, a quel punto, inseguendo un nostro vecchio progetto, abbiamo deciso di convertire il nostro credito in un credito da girare alla tipografia. In questo modo sono nati i primi libri della casa editrice e si è, in qualche modo, solidificato un piccolo gruppo che, ancora oggi, continua a fare libri e continua naturalmente a lavorare con l’editoria; e sono passati ormai 13 anni da quel primo giorno, da quei primi libri.
Il Lazio non è terra in cui possano nascere workers buyout?
Io non so dire se esistano delle regioni, dei territori migliori rispetto alla possibilità di organizzazione dei lavoratori e alla gestione di attività in crisi. Non credo che sia così. Credo anzi che il fatto che dei lavoratori possano organizzarsi per gestire direttamente le attività in crisi sia una soluzione da percorrere ovunque. Il punto è, però, anche diverso dal mio punto di vista: nel momento in cui ci si deve confrontare o per meglio dire scontrare con il mercato è chiaro che i lavoratori tenderanno sempre a trovarsi all’interno di un rapporto di forza perdente. Io credo che da questo punto di vista occorra un cambiamento radicale rispetto al modo in cui si usano le risorse. Per andare più sul concreto: pensiamo al punto di partenza per quasi qualunque genere di attività lavorativa: la proprietà immobiliare. Ecco: il discorso di tante case a fronte di tanta gente senza casa riguarda anche il mondo del lavoro. Allora non si può pretendere che questo mercato drogato degli affitti in qualche modo detti legge anche per quanto riguarda il discorso lavorativo. Gli affitti sono insostenibili anche per tutte le attività lavorative, dal piccolo negozio al capannone. Ecco: io credo che un primo cambiamento debba prevedere la possibilità di affrontare questa questione. Non è possibile che si possa lasciare abbandonato tanta parte di patrimonio sia pubblico che privato. Nel momento in cui su questi immobili c’è un progetto lavorativo, questo va favorito in tutti i modi. Invece, si tende sempre a privilegiare la rendita a scapito del lavoro. Io credo che sia questo il vero nodo: rendita contro lavoro. Bisogna tornare a dare importanza al lavoro.
La vostra casa editrice si è molto dedicata alla storia e alla memoria del movimento operaio. Quali sfide ancora oggi per i lavoratori?
La Red Star Press in effetti nasce per essere una casa editrice dedicata alla storia e alla cultura del movimento operaio, delle lotte di liberazione, delle lotte contro il razzismo, il fascismo, il sessismo. E da questo punto di vista continua a seguire questo filo rosso per quanto riguarda la sua programmazione editoriale. La sfida che ci hanno lasciato in eredità i lavoratori e le lavoratrici che da molto prima di noi hanno affrontato il problema di guadagnare dignità alle loro professioni, alle loro esistenze, alla possibilità di esprimersi, di conquistare la verità materiale della libertà, è una sfida che non si è mai conclusa e che oggi pone all’ordine del giorno gli stessi problemi di ieri: maggiore possibilità di contare rispetto alle decisioni che a livello politico vengono prese rispetto allo sviluppo del nostro Paese è centrale. Sì alla transizione ecologica e no alla guerra: questo è il cardine di qualsiasi cambiamento positivo. L’economia di guerra uccide, devasta, saccheggia; la transizione ecologica (cioè tornare a decidere cosa, dove, come, quando, quanto produrre, tenendo presente tutte le variabili, quindi le risorse disponibili, le priorità rispetto a ciò che è necessario): è qui che si gioca la partita che inciderà sempre di più sulla qualità della vita e sul futuro di chi vive del proprio lavoro in Italia e altrove.
Come sostenere il lavoro delle case editrici?
Quando si parla di sostegno all’editoria, alla lettura, ai libri, si possono dire molte cose. Si possono senz’altro citare misure che potrebbero in qualche modo facilitare il lavoro delle case editrici, delle piccole case editrici, delle realtà indipendenti. Io dico sempre una cosa: si tratta del motto con il quale abbiamo fondato la casa editrice: “Che cosa ci faccio di un libro se non ho un lavoro decente e neppure una casa?”. La drammatica verità è che la promozione culturale comincia dalla scuola, dalla casa, dal lavoro. Abbiamo bisogno che si affermino dei diritti semplici: casa, lavoro sicuro e pagato, scuola. Oggi invece sale la dispersione scolastica, aumenta il numero di persone che non hanno una casa, e anche la disoccupazione o peggio il lavoro sottopagato diventa una abitudine. Chiaro che in questa cornice sia difficile parlare di promozione culturale, a meno che non si voglia restringere la cultura a un privilegio elitario, ma non è certo questo il settore per il quale noi come lavoratori e lavoratrici abbiamo impostato il nostro lavoro e anche la nostra lotta per resistere con la nostra identità
Crisi d’impresa e workers buyout: c’è ancora bisogno nel Lazio di questo strumento? Molte edicole chiudono, l’editoria è in forte declino.
Io credo che l’auto-organizzazione dei lavoratori, non soltanto all’interno di imprese in crisi ma anche di organizzazioni che potrebbero formarsi nei territori ex novo, sia una delle strade fondamentali per capovolgere il rapporto che vede il lavoro puntualmente soccombere di fronte alla rendita. L’esempio delle edicole che chiudono è particolarmente calzante perché non ci sono solo le edicole che chiudono. Io, ad esempio, ho sostenuto in più occasioni la possibilità di utilizzare in una maniera nuova anche i mercati che chiudono. Anziché farli diventare aree abbandonate o anziché spazzarli via magari per farci dei parcheggi, credo che nei mercati potrebbero davvero nascere dei poli produttivi assolutamente nuovi, anche all’avanguardia rispetto alla possibilità che avrebbero di mettere in rete energie differenti. Potrebbero essere dei veri e propri piccoli distretti produttivi assolutamente all’avanguardia. Queste sono battaglie importanti che riguardano tutta la modalità con il quale il territorio viene troppo spesso, troppo facilmente, regalato alla rendita. Sembra che ogni metro quadrato di cemento, quando c’è, debba in qualche modo finire o nei fondi speculativi, quando non comunque destinato ai cosiddetti affitti temporanei, specialmente in una città come Roma. Io sento dal basso una pressione diversa. Si cerca di connetterla all’interno del movimento del diritto all’abitare ma senz’altro ci sarebbe bisogno di una spinta molto più forte, in grado di mettere i bisogni delle persone, e sicuramente il lavoro tra questi, davanti invece ai profitti della rendita che all’interno del corpo sociale non lasciano mai nulla di buono
In che misura i costi della carta stanno influendo sulla crisi delle case editrici?
La carta è una materia che ha continuato a salire di prezzo in maniera ininterrotta già da tantissimo tempo. Sicuramente poi, nel periodo pandemico e oltre, con la guerra, c’è stata una impennata che ha assestato i prezzi a un livello veramente altissimo: un raddoppio dei prezzi che sicuramente ha causato aumenti per quanto riguarda poi l’oggetto libro ma sono aumenti che assolutamente non recuperano il maggiore costo di una materia prima come la carta. Dall’energia ai trasporti, tutto ciò che concorre a determinare il prezzo di un libro è aumentato in una misura che l’aumento del prezzo di copertina non può minimamente riassorbire. Di fatto, oggi, si lavora con dei margini ancora più ristretti. E questo è un problema enorme, di difficile soluzione, considerando che, al di là dell’editoria, pesa sui contesti produttivi e sulle famiglie in Italia in una maniera che sta diventando assolutamente pericolosa. Soluzioni possibili: è difficile effettivamente tirarle fuori dal cilindro. Una cosa è certa: la cosiddetta editoria periodica gode di un rimborso misurato sulla carta ma non si capisce per quale motivo non dovrebbe riguardare l’editoria nel suo complesso.
Qual è il vostro rapporto con la transizione digitale?
Sin da sempre lavoriamo a contenuti digitali. E non mi riferisco semplicemente agli ebook. Già all’inizio della sua attività la Red Star Press ha promosso la realizzazione di diversi blog, il più importante, è “Sport popolare”, che affronta il tema dello sport dal basso a 360°. Vorremmo e dovremmo fare di più. Non si tratta semplicemente di implementare il lavoro sugli ebook e sugli audiolibri, perché questo è un lavoro che già svolgiamo, ma di essere più centrali rispetto alle modalità di fruizione e di produzione di contenuti. Pensiamo al podcast che oggi svolge un ruolo importante. I veri problemi non sono di know how tecnologico ma di energia, di lavoro. La cosa drammatica è che oggi se si vuole pagare il lavoro nella maniera giusta, è molto difficile allargare il proprio raggio di azione e concentrarsi su cose nuove, visto che già il lavoro dei libri è estremamente faticoso in termini di energia e di forza lavoro. Il nodo è lì. Cercheremo naturalmente con tutte le nostre forze di creare lavoro sano e di concentrarci su questo nuovo ambito che passa per il digitale e al quale riconosciamo importanza notevole.
Transizione ecologica e editoria: come si possono conciliare le due cose?
Per esempio, noi abbiamo un accordo con tutti i nostri vicini (farmacie, parafarmacie, ottiche) che ci mettono da parte i cartoni che riutilizziamo per confezionare i libri e le buste delle spedizioni. Utilizziamo anche, attraverso le tipografie con le quali lavoriamo, delle carte che vengono da una gestione sostenibile delle foreste. Ci piacerebbe fare di più e che collettivamente si facesse di più.
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